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domenica 22 settembre 2013

L'IMPORTANZA DEL BRANCO



L’insediamento del nuovo Consiglio dell’Ordine degli architetti di Agrigento per il quadriennio 2013/2017, che mi vede ricoprire il ruolo di presidente (tanto onorevole 
quanto oneroso), sta avvenendo in uno dei peggiori periodi di crisi economica e sociale per la nostra penisola; non considerando il fatto che sia anche uno dei periodi più bui per la nostra storia patria.

La politica economica adottata dai governi che si sono succeduti negli anni, forse degli ultimi decenni, che in maniera corsara ha tentato una riforma delle professioni intellettuali, ha innescato un meccanismo di sfiducia nei colleghi professionisti che li ha allontanati sempre di più dagli Ordini a tal punto da essere visti, questi ultimi, come organi istituzionali da abolire in virtù di una presunta appartenenza, dei loro rappresentanti, ad una casta di privilegiati che anziché pensare all’interesse collettivo della categoria è impegnata a mantenere i propri privilegi (ma quali?); la parola d’ordine imperante per tanti nostri colleghi alle ultime elezioni è stata “ABOLIAMO GLI ORDINI”.
Sicuramente una delle colpe attribuibili agli Ordini è quella di non avere saputo opporre le opportune resistenze contro una serie di riforme inique, che stanno portando la categoria degli architetti liberi professionisti a soccombere innanzi alle lobby del progetto ed alle lobby economico finanziare, basti vedere le ultime vessazioni come l’installazione dell’apparecchiatura POS all’interno degli studi professionali e l’obbligo della copertura assicurativa.
Ma la battaglia contro una riforma iniqua e per tratti demenziale ci vedeva come tanti Davide, ancorati ad una concezione intellettuale e quasi artigianale della professione, contro i Golia dell’alta finanza che hanno voluto imporre la globalizzazione del progetto mortificando il lavoro concettuale degli architetti e trasformandolo in un mero evento economico speculativo.
Una battaglia che ha costretto i nostri rappresentanti nazionali a mediare, al fine di non soccombere definitivamente, su una serie di riforme finalizzate a cancellare del tutto la figura dell’architetto libero professionista.
L’impegno primario del sottoscritto e di tutto il nuovo consiglio è pertanto quello di riavvicinare gli iscritti aiutandoli ad affrontare i nuovi temi della riforma, dalla tutela professionale alla formazione (leggasi Consiglio di disciplina e obbligo di formazione continua), al fine di riportare la figura professionale dell’architetto ad una centralità nei processi di trasformazione e tutela del territorio e di demiurgo della scienza delle costruzioni.
E’ fondamentale che l’Ordine si ricongiunga con il territorio e con i colleghi stremati e sfiduciati affinché tutti insieme possiamo avere l’autorevolezza necessaria a garantire la pratica del nostro bellissimo mestiere, uno dei più antichi al mondo.
Per fare questo è strettamente necessario che si ritorni a diventare gruppo, categoria, comunità, branco e, perché no, casta (ovviamente nel senso positivo del termine).
Solamente con l’unità d’intenti e attraverso una pluralità di azioni coordinate Davide potrà sconfiggere Golia o, quantomeno, contenerlo.
Ed è per i motivi sopra esposti che s’intende mettere in atto, oltre a quelli canonici, una serie di nuovi servizi rivolti sia ai tanti giovani, che loro malgrado s’immettono nel mondo del lavoro della libera professione, sia anche ai meno giovani, che si trovano disorientati all’interno di un mondo del lavoro che sta evolvendo in maniera sconsiderata e a noi sfavorevole.
Da ciò nasce l’esigenza dell’attivazione di uno “SPORTELLO LAVORO”. Un servizio che per ovvie ragioni non potrà garantire a nessuno il lavoro ma che avrà l’obiettivo di mettere in contatto gli iscritti con i diversi soggetti portatori d’interessi sociali, culturali ed economici; siano esse Amministrazioni pubbliche, Istituti culturali, Università, Associazioni di categoria, Unione Europea, facilitatori di Impresa, etc.
Un servizio che possa contribuire a chiarire i problemi ed i dubbi riguardanti la professione, i suoi aspetti tecnici, amministrativi, burocratici.
Un servizio di front office, assistenza e consulenza agli iscritti, al fine di chiarire aspetti di carattere pratico come: la partecipazione a gare di progettazione; nuove procedure amministrative quali DIA e SCIA; supporto per pratiche di CTU e di CTP; per fornire servizi di consulenza fiscale e previdenziale.
Un altro nuovo tema che dobbiamo obbligatoriamente affrontare è quello dell’INTERNAZIONALIZZAZIONE della nostra figura professionale al fine di allacciare rapporti e partnership con gli organismi professionali di altri Stati.
In un momento in cui la Provincia di Agrigento è la porta del bacino del Mediterraneo verso l’Europa è importante che l’Ordine contribuisca alla stesura di patti e protocolli da stipulare con enti ed organismi internazionali per promuovere l’architettura e la professione di un Architetto senza confini di operatività e darà vita a iniziative che illustrino l’operato e l’alta formazione professionale dei nostri architetti.
Questo servizio sarà utile anche perché dovrà offrire agli iscritti un’informativa precisa e puntuale sulle opportunità di lavoro che si presenteranno anche in paesi comunitari ed extracomunitari.
Sarà inoltre nostra cura riallacciare i rapporti di collaborazione con le amministrazioni pubbliche al fine di: migliorare le procedure delle gare per l’affidamento degli incarichi pubblici; sollecitare e collaborare alla stesura di una nuova legge urbanistica regionale che superi la quantità abnorme di leggi, leggine, circolari e regolamenti che molto spesso ci inducono in errore e ci mettono in balia degli uffici tecnico amministrativi preposti al rilascio di pareri ed autorizzazioni; alla riforma ed alla promozione dei concorsi di idee e di progettazione quale metodo di trasparenza per l’affidamento dei servizi di progettazione.
Quello che ci attende sarà un lungo e duro lavoro ma confidiamo nel nostro impegno, nella nostra buona volontà e soprattutto nell’aiuto di tutti gli iscritti che si vorranno cimentare a ricostruire, in “branco”, l’immagine dell’architetto del nuovo millennio.

giovedì 18 luglio 2013

LA STRATEGIA DELLA TARTARUGA

contro l'attuale sistema delle gare per servizi di progettazione



La scorsa mattina, mentre ero in auto per recarmi ad Agrigento, ascoltavo alla radio la trasmissione "Pagina 3", programma radiofonico su radio RAI 3, condotto da Edoardo Camurri il quale commenta le terze pagine dei quotidiani italiani tradizionalmente dedicate alla cultura.
Quella mattina il Camurri commentava un post del blog di Daniela Ranieri, pubblicato su Blog.Panorama.it ed intitolato "I tormenti di chi arriva in anticipo: proposta contro i ritardatari (a parte Kafka)", dove l'autrice inveisce, in maniera nevrotica e maniacale, contro i ritardatari.
L’inveire contro la categoria dei ritardatari mi ha interessato essendo io, per natura, un "puntuale cronico" che, masochisticamente, preferisce arrivare in anticipo agli appuntamenti nella consapevolezza di dovere aspettare il mio interlocutore il quale, in pieno spirito meridionale, mi ha dato un appuntamento con la ormai tipica frase: "ci vediamo verso le...".
E’ quel “verso” che ti frega perché racchiude un arco temporale molto variabile che lascia immediatamente intendere che non ci si incontrerà mai all’ora prestabilita.
Pur tuttavia continuo ad essere un fedele sostenitore del motto: "Piova, nevichi o stia male sarò puntuale".
Della lettura dell'articolo della Ranieri mi ha colpito in particolare un passaggio che riporto fedelmente di seguito: "... Una soluzione che mi è stata suggerita: prova ad arrivare in ritardo. Illusi. Cosa farei nel frattempo? Si tratta pur sempre di aspettare, nello specifico che scatti l’ora di un appuntamento, per poi oltrepassarla e presentarsi in ritardo. Ma con quanto ritardo? Mettiamo il caso di un incontro con un ritardatario cronico: è come la tartaruga con Achille...".
L’autrice utilizza il secondo paradosso di Zenone in cui la buona tartaruga batte in volata il pelide Achille. Ma nell’articolo della Ranieri Achille, piè veloce, rincorre la tartaruga non per superarla ma, addirittura, per arrivare dopo. Paradosso nel paradosso.
Questa considerazione ha generato in me un volo pindarico facendomi ritornare indietro nel tempo e precisamente all'ormai lontano 1994, al termine della mia sessione di laurea, quando dopo un periodo lavorativo, a titolo volontario, in Tanzania seguì una breve pausa di relax a Zanzibar, meravigliosa isola nell'oceano indiano di fronte le coste dell’Africa.
In particolare mi tornò in mente la mia giornata, finita con un’insolazione che ricorderò per tutta la mia vita, a Prison Island la piccola isoletta famosa per la sua colonia di tartarughe centenarie che la dominano indisturbatamente, fregandosene altamente dei turisti che le inseguono (me compreso) per immortalarsi in groppa a questi giganteschi e coriacei animali.
Fu forse proprio quel giorno del lontano 1994 che nacque la mia passione per le testuggini. Da allora non ho fatto altro che osservarle, scrutarne i comportamenti e soprattutto collezionarle, non vive perché non amo gli animali in appartamento. Ho tartarughe di ogni forma e materia: in vetro di murano, in terraglia, in pietra lavica, in osso, in gomma (uscita da un uovo Kinder), di carta, di legno etc. Per lo più sono souvenir dei miei viaggi.
Da alcune mie letture ho appreso come questo animale, che da un punto di vista anatomico non ha mai scisso i legami con i suoi antenati preistorici, attraverso il simbolismo del Cerchio e del Quadrato, costituisce non solo un perfetto tramite tra la tradizione esoterica estremo-orientale e quella ermetico-alchemica occidentale ma, intrecciandosi ulteriormente con l’iconografia cristiana, con il simbolismo del Graal e con quello Templare (da cui tra l’altro deriva quello Massonico), ci indirizza alla scoperta di un mondo nascosto di analogie e correlazioni che legano matematica e arte, geometria e biologia, musica e architettura in una inscindibile unità.
E’ osservando la tartaruga nelle sue espressioni facciali che ci sembra di vedere quanto essa sia consapevole di questo fardello di conoscenze millenarie che si porta addosso.
Della tartaruga la cosa che mi ha sempre affascinato è la lentezza dei suoi movimenti e l'espressione flemmatica con cui li compie, la sua quasi coscienza che ha nell'affrontare i duri percorsi della vita. Ad ogni movimento Sembra quasi che dica: "Arriverò, prima o poi arriverò, ma arriverò".
Quando osservi una tartaruga ti rendi conto che il paradosso di Zenone alla fine non è un paradosso; Achille non potrà mai raggiungere la tartaruga perché le vie intraprese dai due sono diametralmente opposte.
La tartaruga è flemmatica, riflessiva, quasi calcolatrice e, soprattutto, porta con sé tutto il suo bagaglio d'esperienza che l'ha resa forte e coriacea nella sua vita centenaria e che non le consente di indugiare nel percorso. Ogni passo è soppesato ma finalizzato ad andare dritta alla meta.
Achille è irruento, istintivo, troppo veloce, poco riflessivo. Achille è così preso della sua tracotanza che nell’arrivare sul campo di battaglia, in una forma mista di narcisismo e senso d’invincibilità, dimentica di coprire il suo tallone rendendosi vulnerabile alla freccia di Paride.
Da sempre questo parallelo tra i due esseri mi ha indotto a numerose riflessioni sulla vita che oggi conduciamo e sul fatto che ci sentiamo un pò tutti Achille dimenticando la grande strategia della Tartaruga: “LENTI ALLA META”.
Dovremmo fare come l'Achille della Ranieri: rincorrere la tartaruga per arrivare dopo con la certezza di raggiungere comunque il nostro obiettivo, con maggiore tempo ma sicuramente con minore affanno.
Ovviamente, per deformazione professionale, non ho potuto fare a meno di ribaltare tale ragionamento sulla professione dell'architetto che l'attuale legislazione ha cercato di "ACHILLIZZARE" imponendo il ribasso sui tempi di progetto quale elemento cardine di valutazione per l'affidamento di un servizio di progettazione (oltre ad altre imbecillità varie).
Un ribasso sul tempo di progetto, è inutile dirlo, è a discapito della qualità architettonica dell'opera progettata.
Un opera progettata seguendo la scansione di tempi ridotti è inevitabilmente una cattiva opera che mostrerebbe le sue falle durante l'esecuzione del cantiere.
Imporre ridotti tempi di progettazione è fare il gioco delle imprese realizzatrici che oggi si appellano all'errore di progetto (inevitabile) per non fare i lavori e chiedere una rescissione di contratto indennizzata a causa di un mancato guadagno o addirittura per fare lievitare i costi di realizzazione attraverso le varianti (anch'esse inevitabili) che si renderebbero necessarie per l'ottimizzazione del progetto stesso.
Ed è questo uno dei tanti motivi per cui gli ordini professionali devono invocare con urgenza una riforma al sistema delle gare per servizi di progettazione.
Bisogna che gli architetti tornino in possesso dei tempi di progetto a garanzia della qualità dell'opera e dei costi di realizzazione.
Magari con più qualità del costruito nelle nostre città, nelle nostre periferie, nelle nostre campagne potremo attardarci agli appuntamenti, perché rapiti dall'osservazione di quanto ben realizzato intorno a noi, ed essere comunque giustificati.

mercoledì 26 giugno 2013

L'architetto del 3000


Il dibattito sulla partorita riforma della professione dell'architetto non si è ancora sopito.
Si continua ad inveire, ed a ragione, contro una serie iniqua di riforme che non hanno nulla a che vedere con il rilancio della professione o con l'apertura al mercato del lavoro alle nuove leve.
Ancora non si comprende a cosa possa servire una formazione continua ed obbligatoria, che prevede anche la cancellazione dall'ordine per il collega inadempiente, quando, e questo è risaputo, i liberi professionisti quotidianamente sono obbligati ad aggiornarsi per fare fronte al sopravvenire continuo di norme, regolamenti e cavilli burocratici dai quali non si può prescindere nell'esercizio della professione.
Ancora meno si comprende l'obbligatorietà della stipula dell'assicurazione professionale e di tante altre vessazioni che ci sono state spacciate come riforme solo per preservare gli interessi delle grandi holding di progetto, delle banche e degli istituti d'assicurazione.
Nessuno invece si è chiesto realmente cosa dovrà essere l'architetto del terzo millennio e quale dovrà essere il suo ruolo per il superamento della crisi globale che in questi tempi ci attanaglia.
Una risposta potrà venire, a mio modesto parere, dal territorio nel quale si opera quotidianamente.
Il nuovo architetto dovrà dimostrare sensibilità ancora maggiore, rispetto a quella dimostrata fino ad oggi, nei confronti del territorio che dovrà essere reinterpretato e salvaguardato, attraverso progetti di recupero e valorizzazione, come unica risorsa per il rilancio della professione dell’architetto e del riavvio dell’attività economica in generale.
L’imperativo del prossimo futuro dovrà essere: “basta al consumo di territorio, si alla riqualificazione dell’esistente come volano di un RINASCIMENTO, sia culturale che economico, del terzo millennio”.
L’architetto dovrà essere colui il quale si dovrà imporre contro le scelleratezze gestionali della politica che hanno visto, fino ad oggi, nella fagocitazione e flagellazione del territorio l’unica fonte di sviluppo economico.
Bisogna dire basta ai piani regolatori che prevedono nuove zone di espansione.
Dobbiamo fare in modo che chi ci amministra provveda ad incaricare i tecnici per la stesura di quegli strumenti urbanistici che possano valorizzare le nostre bellezze paesaggistiche, naturali ed architettoniche di cui la nostra terra, così tanto pregna di storia e cultura, è in possesso.
E' attraverso il rilancio del territorio, inteso come bene culturale, e delle sue radici socio antropologiche che si potrà avere un nuovo slancio per lo sviluppo economico di questa nostra Italia.
E’ frustrante per tutti noi apprendere che i due terzi del nostro patrimonio culturale è in stato di rovina, abbandono o  giace custodito in magazzini statali.
Chi ama viaggiare può benissimo vedere come paesi storicamente più giovani del nostro e con minor prodotto (se vogliamo proprio usare un termine economico) riescono a produrre economie attraverso i beni culturali.
In gran parte del mondo, il settore culturale detiene un peso rilevante rispetto ad altri comparti industriali, in termini di occupati, volume d’affari generato e contributo al Prodotto Interno Lordo. Di conseguenza appare indiscutibile la sua rilevanza in chiave strategica per la crescita dei sistemi territoriali.
In tal senso, il patrimonio culturale inteso come attrattiva diviene la nuova frontiera della competizione globale tra realtà territoriali analoghe che devono confrontarsi tra loro per richiamare investitori.
Per un Paese come l’Italia che, pur essendo dotato di un patrimonio culturale e artistico invidiabile, pur essendo in cima alla classifica per il numero dei siti archeologici considerati patrimonio dell’UNESCO, da ultimo il nostro vulcano Etna, subisce i contraccolpi di una ridotta attrazione di investimenti diretti esteri e di scarsi investimenti in ricerca e sviluppo al confronto con i principali competitor, l’attrattiva culturale costituisce sempre più un tema prioritario che chi governa (sia a livello nazionale, sia regionale, non parliamo di province delle quali ancora non conosciamo le sorti) deve affrontare in modo sistematico, adottando un’ottica strategica di lungo periodo, anche e soprattutto con riferimento al settore culturale.
Infatti, l’attrattiva culturale aumenta il livello di investimenti esteri e, arricchendo un territorio sia di risorse nuove (finanziarie e umane) che di competenze e know-how innovativo, favorisce un incremento della sua competitività. Questo a sua volta stimola un miglioramento e accentua e promuove la cultura del confronto con Paesi e regioni concorrenti, comportando così un ulteriore miglioramento in termini di attrattività.
S’innesca dunque un “circolo virtuoso” che si rinnova ed autoalimenta ciclicamente.
E’ scoraggiante sapere che lo Stato Italiano, “proprietario” dei musei e dei siti archeologici più importanti dal punto di vista del valore culturale e dell’attrattività di visitatori, destina, a livello centralizzato, circa lo 0,03% del PIL ad investimenti nel settore delle attività culturali. Si tratta di un dato molto preoccupante in termini di possibilità di sviluppo e di capacità attrattiva del settore. Questo dato evidenzia i limiti della spesa pubblica rispetto alle esigenze di recupero di una quantità di beni che necessitano di restauro, di valorizzazione o in moltissimi casi semplicemente di una sede ove essere esposti.
Tuttavia, ciò presuppone ulteriori investimenti e quindi capacità di rinvenire risorse in molti casi ingenti, per il cui reperimento diviene essenziale incrementare le entrate connesse alla valorizzazione ed alla fruizione.
Ancora più frustrante è apprendere che oltre un miliardo e mezzo di euro, destinati alla cultura italiana, sono già rientrati nelle casse di Bruxelles e altri due sono sulla stessa strada. Infatti, le risorse del “Programma Attrattori Culturali 2007/2013” non sono mai state impegnate operativamente. Si tratta dei cosiddetti POIN e PAIN, acronimi che indicano programmi operativi e attuativi interregionali per il sud. Ovvero, lo strumento principale attraverso cui promuovere e sostenere lo sviluppo socio-economico delle regioni del mezzogiorno attraverso la valorizzazione, il rafforzamento e l’integrazione su scala interregionale del patrimonio culturale, naturalistico e paesaggistico in esse custodito. Fondi che non sono stati spesi, ma sono stati riallocati per finanziare voci di spesa che non c’entrano nulla con la cultura.
Ecco che l’architetto del futuro dovrà dunque imporsi come conduttore e sentinella per il rilancio dell’attività economica attraverso un ripensamento del territorio, inteso come bene comune, in termini di riqualificazione, salvaguardia e risparmio. L’architetto dovrà uscire fuori dal suo studio, inteso come laboratorio artigianale, e mettendo a frutto le sue conoscenze umanistiche, tecniche ed economiche, interfacciandosi con altri esperti del settore, dovrà proporsi come soggetto intercettore di quelle opportunità politiche di rilancio delle economie territoriali provenienti dal mondo esterno dei programmi di spesa comunitari.
Noi architetti dobbiamo riappropriarci di tematiche del futuro senza considerarle marginali o avvilenti.
L’architetto dovrà appellarsi alla sua capacità di comprensione del globale, dell’insieme.
L’architetto dovrà tornare ad analizzare la società attuale e spiegarne i cambiamenti anticipando la previsione futura, agendo sul presente e mai negando le fondamenta della memoria del passato.
E’ in questo senso che doveva orientarsi la vera riforma delle professioni.
La professione, per come viene affrontata oggi, è ricattabile da parte degli immobiliaristi e non ha alcun potere negoziale e nessun rapporto con gli utenti.
Bisogna cambiare la nostra immagine dall'immaginario collettivo.
La stragrande maggioranza degli architetti non sono delle "archistar" che in nome del design fanno lievitare i costi ed i tempi di realizzazione di un'opera.
Non più,dunque, "archistar" dedite al design di monumenti (fini a se stessi), ma professionisti eclettici in grado di padroneggiare i cambiamenti sociali, urbanistici e funzionali del territorio.