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mercoledì 26 novembre 2014





“Day off: io spengo lo studio”

l’Ordine degli architetti di Agrigento aderisce alla protesta, che avrà luogo su scala nazionale, per rivendicare il diritto a compensi certi, a un’adeguata retribuzione, alla dignità del lavoro, a leggi semplici ed efficaci, all’apertura del mercato del lavoro pubblico.

Un giorno di ‘black out’ per gli studi professionali degli architetti: una singolare forma di protesta per spingere il Governo nazionale a ‘riaccendere la luce’ su un intero comparto, quello edile, che vessato da crisi economica e inadeguatezza normativa provoca gravi ripercussioni sulle categorie professionali coinvolte nei processi progettuali, che adesso si sentono lese nei diritti e nella dignità.
Dalle ore 20 del 26 novembre alle 20 del 27 novembre anche gli studi degli architetti di Agrigento chiuderanno i battenti nell’ambito di “Day off: io spengo lo studio”, iniziativa che avrà luogo in occasione della Giornata di mobilitazione nazionale dei lavoratori delle costruzioni.
Ci occorrono gli strumenti per trasformare in frutti il lavoro di ogni giorno: e per fare questo bisogna rilanciare la filiera del progetto, il settore edile, ci servono tutela, garanzie e sostegno con uno snellimento e una maggiore efficacia di norme, regolamenti e riforme.
Come abbiamo fatto presente nell’ultima conferenza dei presidenti tenutasi a Milano pochi giorni fa, è il Governo nazionale a doversi mobilitare per ricreare i posti di lavoro persi, aumentare gli investimenti nelle opere pubbliche e infrastrutturali, interventi di messa in sicurezza del territorio e del patrimonio edilizio, riqualificazione urbana, il contrasto del lavoro irregolare e di false partite Iva così come l’illegalità e le infiltrazioni mafiose negli appalti.
Operare nel mondo dell’edilizia è sempre più difficile: la filiera, che comprende anche il mondo delle professioni tecniche, è in ginocchio, e la nostra protesta non si fermerà di certo qui.
Abbiamo chiesto al nostro presidente nazionale, Leopoldo Freyrie, un intervento più incisivo nei confronti del Governo nazionale perché si progetti un rilancio del comparto edilizio.
La nostra è una rivendicazione del diritto a compensi certi, a un’adeguata retribuzione, alla dignità del lavoro, a leggi semplici, chiare ed efficaci, e all’apertura del mercato del lavoro pubblico”.



mercoledì 20 agosto 2014

CARO ASSESSORE, LA PREGO...SI FERMI!!


Giuseppe Samonà
piano particolareggiato - Montepulciano 1975


















Gentile assessore Salvatore Monte,
mi corre l’obbligo indirizzarle queste poche righe, in quanto architetto e dunque come si suol dire un addetto ai lavori, a seguito dell’ultimo intervento edilizio, da lei definito di riqualificazione ed abbellimento, verso un importante elemento urbano quale la scala di collegamento tra il quartiere di San Michele e l’incrocio tra la via Roma e la via Giuseppe Licata.
Parlo del primo tratto di rampe di scale a cui sono state aggiunte a mo di fregio (o questo quantomeno doveva essere il significato dell’intervento) delle piastrelle in ceramica decorata opera, senz'altro encomiabile, di alcuni maestri ceramisti della nostra città.
Premetto immediatamente che non è mia intenzione fare alcuna polemica in merito alla bruttezza o bellezza dell’intervento.
Io sono architetto di mestiere e so quanto stupido sarebbe andarsi ad infilare in una diatriba costituita su concetti così evanescenti come quelli sulla natura estetica delle cose.
Parecchi filosofi, filologi più degli architetti, hanno dissertato su concetti estetici e sono tutti (o quasi) pervenuti al risultato che il concetto del bello in maniera assoluta, e lo stesso del brutto, non esiste essendo un concetto del tutto soggettivo legato ad elementi percettivi ad ognuno di noi intrinseci.
Mi permetta però di spendere poche righe sulla definizione, a me pare da lei abusata, del concetto di riqualificazione urbana.
Dico abusata perché il termine di riqualificazione di un contesto urbano non può contemplare la semplice proliferazione di opere d’arte, per lo più semplicemente decorative, ad ogni angolo di strada o su fronti di palazzi di un certo carattere storico, come in questi giorni sta avvenendo nella nostra cittadina.
Un fenomeno questo che un filosofo e sociologo urbano come Lévi-Strauss non avrebbe esitato a definire ai limiti della schizofrenia (non si offenda la prego ma Lévi-Strauss ha affrontato studi sociologici ben precisi che lo hanno portato a definire schizofrenica l’attività compulsiva di riempire gli spazi, siano essi domestici, siano essi urbani, con elementi di arredo tra i più disparati).
Riqualificazione di un contesto urbano è qualcosa di più profondo, è qualcosa che va ricercato nella stratificazione della città, negli elementi che la compongono fatti dalle quinte degli edifici, assi viari, slarghi, piazze ed altri elementi riconducibili alla storia del popolo che la vive.
Riqualificare oggi dovrebbe significare ripristinare una solidarietà urbana, citando il maestro Giuseppe Samonà, in passato fortissima, in cui le attività sociali definivano la dinamica del tipo di relazioni di contesto di una certa strada o piazza, secondo una precisa caratterizzazione delle sue parti. Un tempo si veniva creando e trasformando l’arredo urbano, implicante un insieme d’iconismi, spesso molto espressivi nel definire gli spazi superficiali contrapposti, sia delle fronti costruite di una strada, sia del suo pavimento, sia degli oggetti fissi e mobili di vario tipo, che l’uso vitale della strada stessa veniva creando nel tempo, con un’animazione di vincoli formali espressivi, quasi sempre ad alta carica iconologica e dovuta in gran parte al modo di operare esclusivamente pedonale nella città*.
Riqualificare un contesto urbano dunque è un atto che va progettato nel suo insieme, dopo un’attenta ricerca nel tessuto urbano e delle sue componenti sociali che lo vivono, e che non si risolve nella semplice apposizione di un elemento decorativo; elemento che magari potrebbe anche essere apposto ma solamente in un tempo successivo e come componente terminale di un processo di ricerca delle radici urbane del luogo.
Fino ad oggi a Sciacca, proprio a causa di una mancanza di progettualità, abbiamo assistito ad una snaturalizzazione sistematica del nostro centro storico.
Un esempio eclatante, per il quale nessuno e meno che mai la Soprintendenza (ente preposto alla tutela dei beni paesaggistici e monumentali) ha proferito parola, lo si vede in ciò che ha subito il cortile Carini.
Cortile che un tempo ospitava gli ambienti più poveri e luridi di quello che fu il vecchio castello dei Perollo.
Un cortile fatto essenzialmente di architettura non ornata.
Un cortile abbarbicato ai pendii della collina saccense che, a seguito di un intervento puramente decorativo, decontestualizzato e finalizzato a soddisfare le ambizioni personali di un artista (che evidentemente sconosce la storia di Sciacca), ha perso le sue originali caratteristiche ed il suo fascino storico.
Per questi motivi caro assessore, sapendola persona attenta, la invito a fermarsi ed a riflettere.
La invito a dotarsi di un vero progetto organico di riqualificazione urbana del nostro centro storico che preveda, anche, l’inserimento di opere d’arte (sicuramente anche in ceramica) le quali potranno avere anche maggiore visibilità e possibilità di godimento da parte dei cittadini, e dei tanto ricercati turisti che vorranno gratificarci della loro presenza.
Restando a sua completa disposizione Le porgo i miei più cordiali saluti.

nota:*"L'arredo urbano e la città" di Giuseppe Samonà - pubblicato in: L'arredo urbano e la città - Edizioni Over, Milamo 1984.