Il dibattito sulla partorita riforma della professione dell'architetto non si è ancora sopito.
Si continua ad inveire, ed a ragione, contro una serie iniqua di riforme che non hanno nulla a che vedere con il rilancio della professione o con l'apertura al mercato del lavoro alle nuove leve.
Ancora non si comprende a cosa possa servire una formazione continua ed obbligatoria, che prevede anche la cancellazione dall'ordine per il collega inadempiente, quando, e questo è risaputo, i liberi professionisti quotidianamente sono obbligati ad aggiornarsi per fare fronte al sopravvenire continuo di norme, regolamenti e cavilli burocratici dai quali non si può prescindere nell'esercizio della professione.
Ancora meno si comprende l'obbligatorietà della stipula dell'assicurazione professionale e di tante altre vessazioni che ci sono state spacciate come riforme solo per preservare gli interessi delle grandi holding di progetto, delle banche e degli istituti d'assicurazione.
Nessuno invece si è chiesto realmente cosa dovrà essere l'architetto del terzo millennio e quale dovrà essere il suo ruolo per il superamento della crisi globale che in questi tempi ci attanaglia.
Una risposta potrà venire, a mio modesto parere, dal territorio nel quale si opera quotidianamente.
Il nuovo architetto dovrà dimostrare sensibilità
ancora maggiore, rispetto a quella dimostrata fino ad oggi, nei confronti del
territorio che dovrà essere reinterpretato e salvaguardato, attraverso progetti
di recupero e valorizzazione, come unica risorsa per il rilancio della
professione dell’architetto e del riavvio dell’attività economica in generale.
L’imperativo del prossimo futuro dovrà
essere: “basta al consumo di territorio, si
alla riqualificazione dell’esistente come volano di un RINASCIMENTO, sia
culturale che economico, del terzo millennio”.
L’architetto dovrà essere colui il quale si dovrà
imporre contro le scelleratezze gestionali della politica che hanno visto, fino
ad oggi, nella fagocitazione e flagellazione del territorio l’unica fonte di
sviluppo economico.
Bisogna dire basta ai piani regolatori che
prevedono nuove zone di espansione.
Dobbiamo fare in modo che chi ci
amministra provveda ad incaricare i tecnici per la stesura di quegli strumenti
urbanistici che possano valorizzare le nostre bellezze paesaggistiche, naturali
ed architettoniche di cui la nostra terra, così tanto pregna di storia e
cultura, è in possesso.
E' attraverso il
rilancio del territorio, inteso come bene culturale, e delle sue radici socio antropologiche che si potrà avere un nuovo slancio per lo sviluppo
economico di questa nostra Italia.
E’ frustrante per tutti noi apprendere che i due terzi del nostro patrimonio culturale è in stato di rovina, abbandono o giace custodito in magazzini statali.
Chi ama viaggiare può benissimo
vedere come paesi storicamente più giovani del nostro e con minor prodotto (se
vogliamo proprio usare un termine economico) riescono a produrre economie
attraverso i beni culturali.
In gran parte del mondo, il settore culturale
detiene un peso rilevante rispetto ad altri comparti industriali, in termini di
occupati, volume d’affari generato e contributo al Prodotto Interno Lordo. Di
conseguenza appare indiscutibile la sua rilevanza in chiave strategica per la
crescita dei sistemi territoriali.
In tal senso, il patrimonio culturale inteso come
attrattiva diviene la nuova frontiera della competizione globale tra realtà
territoriali analoghe che devono confrontarsi tra loro per richiamare
investitori.
Per un Paese come l’Italia che, pur essendo
dotato di un patrimonio culturale e artistico invidiabile, pur essendo in cima
alla classifica per il numero dei siti archeologici considerati patrimonio
dell’UNESCO, da ultimo il nostro vulcano Etna, subisce i contraccolpi di una
ridotta attrazione di investimenti diretti esteri e di scarsi investimenti in
ricerca e sviluppo al confronto con i principali competitor, l’attrattiva
culturale costituisce sempre più un tema prioritario che chi governa (sia a
livello nazionale, sia regionale, non parliamo di province delle quali ancora
non conosciamo le sorti) deve affrontare in modo sistematico, adottando
un’ottica strategica di lungo periodo, anche e soprattutto con riferimento al
settore culturale.
Infatti, l’attrattiva culturale aumenta il
livello di investimenti esteri e, arricchendo un territorio sia di risorse
nuove (finanziarie e umane) che di competenze e know-how innovativo, favorisce
un incremento della sua competitività. Questo a sua volta stimola un
miglioramento e accentua e promuove la cultura del confronto con Paesi e
regioni concorrenti, comportando così un ulteriore miglioramento in termini di
attrattività.
S’innesca dunque un “circolo virtuoso” che si rinnova ed autoalimenta
ciclicamente.
E’ scoraggiante sapere che lo Stato Italiano,
“proprietario” dei musei e dei siti archeologici più importanti dal punto di
vista del valore culturale e dell’attrattività di visitatori, destina, a
livello centralizzato, circa lo 0,03% del PIL ad investimenti nel settore delle
attività culturali. Si tratta di un dato molto preoccupante in termini di
possibilità di sviluppo e di capacità attrattiva del settore. Questo dato evidenzia
i limiti della spesa pubblica rispetto alle esigenze di recupero di una
quantità di beni che necessitano di restauro, di valorizzazione o in moltissimi
casi semplicemente di una sede ove essere esposti.
Tuttavia, ciò presuppone
ulteriori investimenti e quindi capacità di rinvenire risorse in molti casi
ingenti, per il cui reperimento diviene essenziale incrementare le entrate
connesse alla valorizzazione ed alla fruizione.
Ancora più frustrante è apprendere che oltre un
miliardo e mezzo di euro, destinati alla cultura italiana, sono già rientrati
nelle casse di Bruxelles e altri due sono sulla stessa strada. Infatti, le
risorse del “Programma Attrattori Culturali 2007/2013” non sono mai state impegnate
operativamente. Si tratta dei cosiddetti POIN e PAIN, acronimi che indicano
programmi operativi e attuativi interregionali per il sud. Ovvero, lo strumento
principale attraverso cui promuovere e sostenere lo sviluppo socio-economico
delle regioni del mezzogiorno attraverso la valorizzazione, il rafforzamento e
l’integrazione su scala interregionale del patrimonio culturale, naturalistico
e paesaggistico in esse custodito. Fondi che non sono stati spesi, ma sono
stati riallocati per finanziare voci di spesa che non c’entrano nulla con la
cultura.
Ecco che l’architetto del futuro dovrà
dunque imporsi come conduttore e sentinella per il rilancio dell’attività
economica attraverso un ripensamento del territorio, inteso come bene
comune, in termini di riqualificazione, salvaguardia e risparmio.
L’architetto dovrà uscire fuori dal suo studio, inteso come laboratorio
artigianale, e mettendo a frutto le sue conoscenze umanistiche, tecniche ed
economiche, interfacciandosi con altri esperti del settore, dovrà proporsi come
soggetto intercettore di quelle opportunità politiche di rilancio delle
economie territoriali provenienti dal mondo esterno dei programmi di spesa
comunitari.
Noi architetti dobbiamo riappropriarci di
tematiche del futuro senza considerarle marginali o avvilenti.
L’architetto
dovrà appellarsi alla sua capacità di comprensione del globale, dell’insieme.
L’architetto dovrà tornare ad analizzare la società attuale e spiegarne i
cambiamenti anticipando la previsione futura, agendo sul presente e mai negando
le fondamenta della memoria del passato.
E’ in questo senso che doveva orientarsi la vera
riforma delle professioni.
La professione, per come viene affrontata oggi, è
ricattabile da parte degli immobiliaristi e non ha alcun potere negoziale e
nessun rapporto con gli utenti.
Bisogna cambiare la nostra immagine dall'immaginario collettivo.
La stragrande maggioranza degli architetti non sono delle "archistar" che in nome del design fanno lievitare i costi ed i tempi di realizzazione di un'opera.
Non più,dunque, "archistar" dedite al design di
monumenti (fini a se stessi), ma professionisti eclettici in grado di
padroneggiare i cambiamenti sociali, urbanistici e funzionali del territorio.
Nessun commento:
Posta un commento