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mercoledì 26 giugno 2013

L'architetto del 3000


Il dibattito sulla partorita riforma della professione dell'architetto non si è ancora sopito.
Si continua ad inveire, ed a ragione, contro una serie iniqua di riforme che non hanno nulla a che vedere con il rilancio della professione o con l'apertura al mercato del lavoro alle nuove leve.
Ancora non si comprende a cosa possa servire una formazione continua ed obbligatoria, che prevede anche la cancellazione dall'ordine per il collega inadempiente, quando, e questo è risaputo, i liberi professionisti quotidianamente sono obbligati ad aggiornarsi per fare fronte al sopravvenire continuo di norme, regolamenti e cavilli burocratici dai quali non si può prescindere nell'esercizio della professione.
Ancora meno si comprende l'obbligatorietà della stipula dell'assicurazione professionale e di tante altre vessazioni che ci sono state spacciate come riforme solo per preservare gli interessi delle grandi holding di progetto, delle banche e degli istituti d'assicurazione.
Nessuno invece si è chiesto realmente cosa dovrà essere l'architetto del terzo millennio e quale dovrà essere il suo ruolo per il superamento della crisi globale che in questi tempi ci attanaglia.
Una risposta potrà venire, a mio modesto parere, dal territorio nel quale si opera quotidianamente.
Il nuovo architetto dovrà dimostrare sensibilità ancora maggiore, rispetto a quella dimostrata fino ad oggi, nei confronti del territorio che dovrà essere reinterpretato e salvaguardato, attraverso progetti di recupero e valorizzazione, come unica risorsa per il rilancio della professione dell’architetto e del riavvio dell’attività economica in generale.
L’imperativo del prossimo futuro dovrà essere: “basta al consumo di territorio, si alla riqualificazione dell’esistente come volano di un RINASCIMENTO, sia culturale che economico, del terzo millennio”.
L’architetto dovrà essere colui il quale si dovrà imporre contro le scelleratezze gestionali della politica che hanno visto, fino ad oggi, nella fagocitazione e flagellazione del territorio l’unica fonte di sviluppo economico.
Bisogna dire basta ai piani regolatori che prevedono nuove zone di espansione.
Dobbiamo fare in modo che chi ci amministra provveda ad incaricare i tecnici per la stesura di quegli strumenti urbanistici che possano valorizzare le nostre bellezze paesaggistiche, naturali ed architettoniche di cui la nostra terra, così tanto pregna di storia e cultura, è in possesso.
E' attraverso il rilancio del territorio, inteso come bene culturale, e delle sue radici socio antropologiche che si potrà avere un nuovo slancio per lo sviluppo economico di questa nostra Italia.
E’ frustrante per tutti noi apprendere che i due terzi del nostro patrimonio culturale è in stato di rovina, abbandono o  giace custodito in magazzini statali.
Chi ama viaggiare può benissimo vedere come paesi storicamente più giovani del nostro e con minor prodotto (se vogliamo proprio usare un termine economico) riescono a produrre economie attraverso i beni culturali.
In gran parte del mondo, il settore culturale detiene un peso rilevante rispetto ad altri comparti industriali, in termini di occupati, volume d’affari generato e contributo al Prodotto Interno Lordo. Di conseguenza appare indiscutibile la sua rilevanza in chiave strategica per la crescita dei sistemi territoriali.
In tal senso, il patrimonio culturale inteso come attrattiva diviene la nuova frontiera della competizione globale tra realtà territoriali analoghe che devono confrontarsi tra loro per richiamare investitori.
Per un Paese come l’Italia che, pur essendo dotato di un patrimonio culturale e artistico invidiabile, pur essendo in cima alla classifica per il numero dei siti archeologici considerati patrimonio dell’UNESCO, da ultimo il nostro vulcano Etna, subisce i contraccolpi di una ridotta attrazione di investimenti diretti esteri e di scarsi investimenti in ricerca e sviluppo al confronto con i principali competitor, l’attrattiva culturale costituisce sempre più un tema prioritario che chi governa (sia a livello nazionale, sia regionale, non parliamo di province delle quali ancora non conosciamo le sorti) deve affrontare in modo sistematico, adottando un’ottica strategica di lungo periodo, anche e soprattutto con riferimento al settore culturale.
Infatti, l’attrattiva culturale aumenta il livello di investimenti esteri e, arricchendo un territorio sia di risorse nuove (finanziarie e umane) che di competenze e know-how innovativo, favorisce un incremento della sua competitività. Questo a sua volta stimola un miglioramento e accentua e promuove la cultura del confronto con Paesi e regioni concorrenti, comportando così un ulteriore miglioramento in termini di attrattività.
S’innesca dunque un “circolo virtuoso” che si rinnova ed autoalimenta ciclicamente.
E’ scoraggiante sapere che lo Stato Italiano, “proprietario” dei musei e dei siti archeologici più importanti dal punto di vista del valore culturale e dell’attrattività di visitatori, destina, a livello centralizzato, circa lo 0,03% del PIL ad investimenti nel settore delle attività culturali. Si tratta di un dato molto preoccupante in termini di possibilità di sviluppo e di capacità attrattiva del settore. Questo dato evidenzia i limiti della spesa pubblica rispetto alle esigenze di recupero di una quantità di beni che necessitano di restauro, di valorizzazione o in moltissimi casi semplicemente di una sede ove essere esposti.
Tuttavia, ciò presuppone ulteriori investimenti e quindi capacità di rinvenire risorse in molti casi ingenti, per il cui reperimento diviene essenziale incrementare le entrate connesse alla valorizzazione ed alla fruizione.
Ancora più frustrante è apprendere che oltre un miliardo e mezzo di euro, destinati alla cultura italiana, sono già rientrati nelle casse di Bruxelles e altri due sono sulla stessa strada. Infatti, le risorse del “Programma Attrattori Culturali 2007/2013” non sono mai state impegnate operativamente. Si tratta dei cosiddetti POIN e PAIN, acronimi che indicano programmi operativi e attuativi interregionali per il sud. Ovvero, lo strumento principale attraverso cui promuovere e sostenere lo sviluppo socio-economico delle regioni del mezzogiorno attraverso la valorizzazione, il rafforzamento e l’integrazione su scala interregionale del patrimonio culturale, naturalistico e paesaggistico in esse custodito. Fondi che non sono stati spesi, ma sono stati riallocati per finanziare voci di spesa che non c’entrano nulla con la cultura.
Ecco che l’architetto del futuro dovrà dunque imporsi come conduttore e sentinella per il rilancio dell’attività economica attraverso un ripensamento del territorio, inteso come bene comune, in termini di riqualificazione, salvaguardia e risparmio. L’architetto dovrà uscire fuori dal suo studio, inteso come laboratorio artigianale, e mettendo a frutto le sue conoscenze umanistiche, tecniche ed economiche, interfacciandosi con altri esperti del settore, dovrà proporsi come soggetto intercettore di quelle opportunità politiche di rilancio delle economie territoriali provenienti dal mondo esterno dei programmi di spesa comunitari.
Noi architetti dobbiamo riappropriarci di tematiche del futuro senza considerarle marginali o avvilenti.
L’architetto dovrà appellarsi alla sua capacità di comprensione del globale, dell’insieme.
L’architetto dovrà tornare ad analizzare la società attuale e spiegarne i cambiamenti anticipando la previsione futura, agendo sul presente e mai negando le fondamenta della memoria del passato.
E’ in questo senso che doveva orientarsi la vera riforma delle professioni.
La professione, per come viene affrontata oggi, è ricattabile da parte degli immobiliaristi e non ha alcun potere negoziale e nessun rapporto con gli utenti.
Bisogna cambiare la nostra immagine dall'immaginario collettivo.
La stragrande maggioranza degli architetti non sono delle "archistar" che in nome del design fanno lievitare i costi ed i tempi di realizzazione di un'opera.
Non più,dunque, "archistar" dedite al design di monumenti (fini a se stessi), ma professionisti eclettici in grado di padroneggiare i cambiamenti sociali, urbanistici e funzionali del territorio.

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