 |
Giuseppe Samonà
piano particolareggiato - Montepulciano 1975 |
Gentile assessore
Salvatore Monte,
mi corre l’obbligo
indirizzarle queste poche righe, in quanto architetto e dunque come si suol
dire un addetto ai lavori, a seguito dell’ultimo intervento edilizio, da lei
definito di riqualificazione ed abbellimento, verso un importante elemento
urbano quale la scala di collegamento tra il quartiere di San Michele e
l’incrocio tra la via Roma e la via Giuseppe Licata.
Parlo del primo tratto di
rampe di scale a cui sono state aggiunte a mo di fregio (o questo quantomeno
doveva essere il significato dell’intervento) delle piastrelle in ceramica
decorata opera, senz'altro encomiabile, di alcuni maestri ceramisti della
nostra città.
Premetto immediatamente
che non è mia intenzione fare alcuna polemica in merito alla bruttezza o
bellezza dell’intervento.
Io sono architetto di
mestiere e so quanto stupido sarebbe andarsi ad infilare in una diatriba
costituita su concetti così evanescenti come quelli sulla natura estetica delle
cose.
Parecchi filosofi,
filologi più degli architetti, hanno dissertato su concetti estetici e sono
tutti (o quasi) pervenuti al risultato che il concetto del bello in maniera
assoluta, e lo stesso del brutto, non esiste essendo un concetto del tutto
soggettivo legato ad elementi percettivi ad ognuno di noi intrinseci.
Mi permetta però di
spendere poche righe sulla definizione, a me pare da lei abusata, del concetto
di riqualificazione urbana.
Dico abusata perché il
termine di riqualificazione di un contesto urbano non può contemplare la
semplice proliferazione di opere d’arte, per lo più semplicemente decorative,
ad ogni angolo di strada o su fronti di palazzi di un certo carattere storico,
come in questi giorni sta avvenendo nella nostra cittadina.
Un fenomeno questo che un
filosofo e sociologo urbano come Lévi-Strauss non avrebbe esitato a definire ai
limiti della schizofrenia (non si offenda la prego ma Lévi-Strauss ha
affrontato studi sociologici ben precisi che lo hanno portato a definire schizofrenica
l’attività compulsiva di riempire gli spazi, siano essi domestici, siano essi
urbani, con elementi di arredo tra i più disparati).
Riqualificazione di un
contesto urbano è qualcosa di più profondo, è qualcosa che va ricercato nella
stratificazione della città, negli elementi che la compongono fatti dalle
quinte degli edifici, assi viari, slarghi, piazze ed altri elementi
riconducibili alla storia del popolo che la vive.
Riqualificare oggi dovrebbe
significare ripristinare una solidarietà urbana, citando il maestro Giuseppe Samonà,
in passato fortissima, in cui le attività sociali definivano la dinamica del
tipo di relazioni di contesto di una certa strada o piazza, secondo una precisa
caratterizzazione delle sue parti. Un tempo si veniva creando e trasformando
l’arredo urbano, implicante un insieme d’iconismi, spesso molto espressivi nel
definire gli spazi superficiali contrapposti, sia delle fronti costruite di una
strada, sia del suo pavimento, sia degli oggetti fissi e mobili di vario tipo,
che l’uso vitale della strada stessa veniva creando nel tempo, con
un’animazione di vincoli formali espressivi, quasi sempre ad alta carica
iconologica e dovuta in gran parte al modo di operare esclusivamente pedonale
nella città*.
Riqualificare un contesto
urbano dunque è un atto che va progettato nel suo insieme, dopo un’attenta
ricerca nel tessuto urbano e delle sue componenti sociali che lo vivono, e che
non si risolve nella semplice apposizione di un elemento decorativo; elemento
che magari potrebbe anche essere apposto ma solamente in un tempo successivo e
come componente terminale di un processo di ricerca delle radici urbane del
luogo.
Fino ad oggi a Sciacca,
proprio a causa di una mancanza di progettualità, abbiamo assistito ad una
snaturalizzazione sistematica del nostro centro storico.
Un esempio eclatante, per
il quale nessuno e meno che mai la Soprintendenza (ente preposto alla tutela
dei beni paesaggistici e monumentali) ha proferito parola, lo si vede in ciò
che ha subito il cortile Carini.
Cortile che un tempo
ospitava gli ambienti più poveri e luridi di quello che fu il vecchio castello
dei Perollo.
Un cortile fatto
essenzialmente di architettura non ornata.
Un cortile abbarbicato ai
pendii della collina saccense che, a seguito di un intervento puramente
decorativo, decontestualizzato e finalizzato a soddisfare le ambizioni
personali di un artista (che evidentemente sconosce la storia di Sciacca), ha
perso le sue originali caratteristiche ed il suo fascino storico.
Per questi motivi caro
assessore, sapendola persona attenta, la invito a fermarsi ed a riflettere.
La invito a dotarsi di un
vero progetto organico di riqualificazione urbana del nostro centro storico che
preveda, anche, l’inserimento di opere d’arte (sicuramente anche in ceramica)
le quali potranno avere anche maggiore visibilità e possibilità di godimento da
parte dei cittadini, e dei tanto ricercati turisti che vorranno gratificarci
della loro presenza.
Restando
a sua completa disposizione Le porgo i miei più cordiali saluti.
nota:*"L'arredo urbano e la città" di Giuseppe Samonà - pubblicato in: L'arredo urbano e la città - Edizioni Over, Milamo 1984.